Qualche giorno fa chiacchieravo con una ragazza vietnamita. Lavora a Stanford, fa l’infermiera e da poco è stata in viaggio a Firenze, Venezia, Roma. Si parlava di quanto sia bella l’Italia, il cibo, la sua storia, la cultura…
Sono discorsi un po’ banali, lo so, che però è difficile non mettersi a fare. Mentre parlavamo non ho potuto fare meno di chiederle delucidazioni su come passino il tempo qui. Per me è sempre un po’ difficile capire che ‘vita culturale’ fanno questi americani, per non parlare degli abitanti della Silicon Valley: per lo più ingegneri, magari ingegneri indiani, che alle 8 di sera sono praticamente quasi tutti a letto.
O forse mi sbaglio? L’unica cosa che posso fare è chiedere.
‘Ma voi cosa fate? Andate a teatro? Al cinema? Come passate le vostre giornate? Certo ci sono un sacco di eventi sportivi, ma .. altro?’
‘Andiamo ai festival. Fra un po’ ad Half Moon Bay ci sono i festival delle zucche, poi c’è Halloween, conosci Halloween?’
Certo, conosco Halloween… Ed effettivamente, ora che mi ci fai pensare, è vero: qui ci sono un sacco di festival: Lantern Festival, Diwali Festival, Dia de los Muertos, Wine festival, Fall festival, Easter Festival etc etc…
Che sia un modo per celebrare le diverse culture che approdano in questa terra? Un modo forse per fare i conti con tradizioni e nostalgie? Per presentarsi, riconoscersi, ricordarsi di cosa succede nella madre patria? Oltre alle feste di primavera, autunno e inverno (e mezza estate), ci sono ovviamente i festival dei vari gruppi etnici e, ovviamente, ci sono anche i Festival italiani, o all’italiana, o per gli italiani.
> festival dell’Italia che c’era – ed è emigrata qui
A fine Agosto, quando ancora era qui mia mamma, siamo stati a San Josè ad un festival italiano organizzato dalla Italian American Heritage Foundation.
Il nome era tutto un programma: ‘Italian Family Festa’. La location non era male e sicuramente meriterà una visita più attenta. Si trattava dell’History Park a San Josè, un parco dove sono stati ricostruiti alcuni edifici storici di fine ‘800 – il tempio cinese Ng Shing Gung (costruita nel 1888), la caserma dei vigili del fuoco (datata 1869), la Banca d’Italia… Alcuni edifici sono sede di musei delle comunità qui presenti, come l’Hellenic heritage institute (comunità greca), il museo storico Portoghese o quello vietnamita.
La città americana difficilmente tiene traccia del suo passato. Qui non si fa fatica ad abbattere e a ricostruire, a fare tabula rasa. Se c’è bisogno di fare spazio al nuovo si demolisce e si lascia il posto a nuovi edifici. Quello che hanno fatto qui è un po’ emblematico di come venga considerata la storia, e nella fattispecie la storia urbana. Sono stati presi alcuni edifici e zac, sono stati ricostruiti in un ambiente protetto, un parco delle radici, delle origini, delle comunità che c’erano, del passato.
Tornando al nostro festival italiano, devo dire che c’era un po’ di tutto: stand enogastronomici, bancarelle di artigianato vario (di italiano non ho visto molto), palco per musica dal vivo, angolo per sperimentare la pigiatura dell’uva, area giochi per bambini…
Tutta una parte del parco era occupato da uno stand dedicato alla ‘Italian Cultural Experience’: bellissime carte geografiche delle regioni italiane, credo degli anni sessanta o forse più vecchie, dato che una mappa portava il nome del Triveneto, una postazione per fare ricerche sul passato della propria famiglia e ricostruire il proprio albero genealogico, un tavolo per imparare l’arte dell’uncinetto e le tecniche per fare pizzi e merletti. Non potevano mancare le partite a bocce.
Così, a caldo, devo dire che il festival, giunto alla sua 37esima edizione, ormai, ha bene poco di italiano. A parte i colori verde bianco e rosso, un po’ da tutte le parti, a parte un po’ di scritte in lingua, trasudava americanità.
Non che non fosse piacevole, ma era evidente che fosse un festival di italiani nostalgici, che ricordano un’Italia che probabilmente non c’è più. Fin troppo organizzato e ordinato per i nostri gusti.
> festival dei millennials o di quelli che… vabbeh
Tutt’altra cosa, invece, l’Italian Street Food Fest at Food Shift Kitchen dove siamo stati la scorsa domenica. Si tratta di un festival giovane, che è solo alla sua seconda edizione. Come l’ho trovato? Beh, la storia è un po’ contorta e lunga.
Da un po’ mi sono fissata con la pizzica. Spesso io, Carmen Sofia e Franky ci mettiamo a ballarla (la preferita dai ragazzi è Mattunaru degli Alla Bua) e mi ero messa in testa di voler trovare qualche occasione per sentirla dal vivo. Non c’è voluto molto a scovare un gruppo di ‘pugliesi in California’, poi il gruppo musicale dei Pizzicalì e, come naturale conseguenza, una qualche festa in cui sentirli suonare. Anzi, un Festival!
Con molto entusiasmo partiamo.
Mi aspettavo di andare in un parco, invece, il festival è stato organizzato in un posto assurdo ed inquietante. Almeno questa la prima impressione appena siamo arrivati: un piazzale deserto con un altissimo palo elettrico e cartelli per l’Alameda Point Collaborative.
Le indicazioni parlavano di una ‘charming Alameda’, google map mostrava dei poligoni colorati di verde, quindi non mi ero posta il problema di dove o cosa fosse quel luogo: ero sicura fosse un parco!
Per arrivarci dovevamo passare sopra un ponte, e fin qui niente di strano. Poi ci siamo resi conto che non si trattava di un ponte ma un tunnel che passava sotto le acque. E i primi dubbi ci sono venuti…
Alameda sorge su un’isola davanti ad Oakland, con vista su San Francisco.
Come si può vedere o intuire dalla foto, l’isola è occupata per lo più da capannoni e aree portuali. Siamo passati accanto ad alcuni quartieri residenziali di nuova costruzione, apparentemente belli e ordinati, ma circondati da filo spinato. Proseguendo verso la nostra meta abbiamo incrociato case più modeste, poi altre decadenti con giardini incolti e semi abbandonati. Ad Oakland e dintorni abita una buona fetta di popolazione nera e in effetti sono riuscita, finalmente a vedere un po’ di ragazzi di colore giocare per le strade.
Ad Alameda arrivano e partono traghetti per San Francisco. Facendo un po’ di ricerche scopro altro. Qui un tempo era presente una base militare, poi abbandonata. Le case dei militari oggi fanno parte di un grande progetto di housing sociale a supporto di persone che hanno avuto problemi abitativi (dallo sfrattato al senzatetto, al barbone). L’Alameda Point Collaborative è l’associazione che si occupa di gestire le case, la loro manutenzione, le assegnazioni e di dare supporto ai suoi abitanti.
Dopo un primo momento di spaesamento (ma dove siamo capitati!), ho iniziato ad orientarmi e a capire. L’asilo, la biblioteca mobile, gli spazi per le associazioni, per le cooperative che danno supporto lavorativo. Con gioia ho anche visto che in un capannone lì vicino c’era una grandissima ciclofficina.
Dopo aver mangiato uno gnocco fritto con mortadella e burrata, dopo aver gustato un bicchier di vino e del buon gelato, ci siamo dedicati ai giochi, attendendo che iniziassero a suonare i tamburelli… A pancia piena è tutto più semplice.
Questo festival è più simile alla mia Italia, all’Italia dei millennials o simili?
Bolle di sapone, lavoretti, poesie, musica stile spazio Petardo, un tavolino per supportare Slow Food (da capire: mi sembra che si potrebbe supportare anche da solo, ma vabbeh), caffè, gnocco fritto, drink lemoncocco– bevanda fresca italiana (anche questa da capire) …
Ci sono alcuni elementi che, sì, mi fanno sentire questa festa un po’ più vicina ad un’Italia che ho conosciuto.
l’anima solidale -questo festival nasce come costola e a supporto del Food Shift Movement, un movimento per sensibilizzare sullo spreco alimentare. Tra le varie cose che fa, qualche anno fa ha avviato l‘Alameda Kitchen, un progetto di inclusione sociale e lavorativa che impiega persone del quartiere in una piccola attività di ristorazione.
l’anima improvvisata – non servono spiegazioni, vi ho detto che eravamo in un parcheggio circondati da capannoni?!?!!??
l’anima, diciamo… casual – parlino le foto
Alla fine, insomma, abbiamo dovuto anche ricrederci.
A ripensarci, poi, per una come me, così curiosa di capire come cavolo sia fatta questa California, di capire dove stanno i margini, le marginalità, le differenze, i chiari e gli scuri, questo è stata una grande occasione di scoperta.