Siamo presto a scuola.
Entriamo, mi travesto da maestra e mi siedo nella stanza che accoglie i bambini, la stanza dedicata alle attività di ‘PRACTICAL LIFE’.
La scuola, come detto, si ispira al metodo montessoriano e, come tale, è suddiviso in ambienti dedicati, con materiali ad hoc: practical life, stanza per le attività ‘sensoriali’, una stanza per l’approfondimento del linguaggio, una per l’approfondimento e lo ‘studio’ della matematica e della geografia, e poi lo spazio esterno con buca della sabbia, scivoli e tricicli.
Premetto che so poco del metodo montessoriano. A parte una frase che mi è rimasta impressa di un libro della Montessori – ‘Il bambino è divino’- (tra l’altro bellissima, significa che il bambino è un Dio. Cioè lui -piccolo- ne sa più di te -adulto), sul resto navigo un po’ a vista: ho letto qualche blog, qualche articolo ma non mi sono mai veramente immersa nello studio.
In ogni caso dell’approccio, per quel poco che ne ho capito, ho sempre apprezzato l’idea che i bambini vengano aiutati a sviluppare una forma di indipendenza e sicurezza, l’idea che vengano dati compiti anche ‘da grandi’ come il maneggiare forbici, scope, utensili di porcellana etc.
Certo, quando Imanish ha svuotato un secchio pieno di foglie sul pavimento mi sono un attimo irrigidita, ma poi ha preso la scopa e ha iniziato a pulire… e ho tirato un sospiro di sollievo.
Su una cosa, però, sono rimasta sempre un po’ perplessa. Da quanto ho potuto osservare nella scuola dei miei figli mancano quasi del tutto attività ‘di gruppo’, mancano momenti in cui tutti i bambini contribuiscono a fare lavori collettivi.
Quando ponevo la questione alle insegnanti , queste mi hanno sempre risposto che, in realtà, alcune attività le svolgono ‘in group’, alcuni puzzle li fanno insieme, i momenti di ‘circle time’ sono svolti insieme… La risposta non mi ha mai convinto del tutto: una cosa è fare cose in cui si è insieme, altra è farle insieme.
Ho allora pensato che la mia ‘lezione d’arte’ potesse (anzi, dovesse) cercare di riempire questo vuoto.
Sono partita, tipicamente, con grandissimi e spaziali progetti, ossia quello di sperimentare l’approccio dei laboratori Bruno Munari.
In questi anni da mamma full time ho sviluppato una vera ossessione per Bruno, per i suoi lavori e le attività rivolte ai bambini.
Si sa, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Quindi, valutate un po’ le forze e le risorse, ho provato a fare una cosa molto semplice. Abbiamo giocato con i colori primari, li abbiamo mischiati provando a fare il verde e il viola. Non so se siano attività montessoriane, forse neanche munariane, ma mi piaceva iniziare da qui.
Abbiamo realizzato diverse sfumature di verde per creare poi, successivamente, un albero pieno di foglie di tutte le tonalità. Il viola ha creato più problemi, quindi lo abbiamo messo in pausa.
Oltre a dover sedare alcune crisi e drammi di diversa natura (tra l’altro di mia figlia) legati al fatto che i verdi, guardacaso, non fossero tutti uguali – ‘Voglio fare il verde uguale a quello di Akki’; ‘Perché i miei verdi non sono belli come quelli di Zavier!’-, abbiamo anche avuto qualche soddisfazione quando finalmente alcuni bambini sono riusciti a creare il verde ‘perfetto’ e quando abbiamo incollato le foglie sull’albero e scritto i nomi di tutti.
Ma quanta pazienza ci vuole con queste creature? Mamma che lavoro difficile ascoltare tutti i dubbi, tutte le frustrazioni, cercare di comprendere i problemi, scioglierli, capirli e cercare di mettere pace tra le anime di questi bambini!
A dirla tutta secondo me li ho un po’ destabilizzati dalla troppa libertà che ho dato. E, in realtà, un po’ pure io sono rimasta destabilizzata e provata. Nella mia testa mille dubbi: forse dovevo guidarli meglio, organizzzare meglio i tempi e lo spazio… Però cavolo! Questi bambini non sanno fare attività in gruppo! Tantomeno lavorare in gruppo! Ognuno con il suo lavoretto sta anche tranquillo, ma poi….
Comunque, il peggio doveva ancora arrivare.
Ossia il grande dubbio: OMG (Oh, my God!) dove cavolo ho mandato i miei figlia a scuola?!!!?!?!?
Dopo la nostra lezione d’arte (che, comunque, ha avuto un discreto successo), i bambini hanno giocato in cortile insieme a quelli più piccoli. Verso le quattro e mezza abbiamo fatto il ‘circle time’, momento di relax in cui si canta e si legge una storia.
Poi, alle cinque è iniziata l’ora del ‘free play’, il gioco libero.
I miei figli adorano questo momento, soprattutto Carmen Sofia.
Almeno così pensavo: ogni volta che arrivavo e stavano iniziando il free play, Carmen Sofia mi guardava in cagnesco asserendo che voleva stare ancora un po’ a giocare.
‘Sarà un momento molto bello’, dicevo ta me e me…
Insomma, bello sarà, ma A ME MI ha lasciato DAVVERO sconcertata.
Come funziona: i bambini devono scegliere una scatola con dentro un gioco (macchinine, costruzioni, bamboline, lego etc etc), poi devono prendere un tappetino, stenderlo per terra, e iniziare a giocare. In alternativa si devono mettere sui tavolini disposti per la stanza.
Questi giochi, come mi ha spiegato la ragazza che sta il pomeriggio, sono per due bambini, massimo tre. Solitamente per due bambini.
Cosa succede: un bambino sceglie l’amico con cui giocare, va a giocare e, inevitabilmente, arriva il terzo bambino che, ovviamente, vuole giocare.
‘Miss Samantha, Raya non mi dice fra quanti minuti posso giocare’.
Ho un attimo di disorientamento, non capisco. Chiedo all’altra maestra delucidazioni.
‘Sì, il bambino deve chiedere se può giocare e, se l’altro gli dice di no, deve chiedere tra quanti minuti può giocare’.
Dopo il disorientamento, le vertigini: sono quasi morta.
Non credo di potercela fare!
Ma sapete come si dice, no? Dove l’ho letto? Forse in Marinella Sclavi? Fatto sta:
‘‘dobbiamo dare importanza alle emozioni , perchè sono rivelatrici del nostro sistema di valori.’
Quindi chiudo qui, ora cerco di ricostruire il mio sistema di valori e poi vi spiego perché sono rimasta sconcertata da questa ora di frustrante gioco libero.